
"Oggigiorno quello delle «relazioni» è l'argomento sulla bocca di tutti, ed evidentemente l'unico gioco cui valga la pena di partecipare, nonostante i noti rischi che comporta. Alcuni sociologi, adusi a confezionare teorie in base a statistiche tratte dai sondaggi d'opinione e dalle banalità in essi registrate, balzano subito alla conclusione che i loro contemporanei sono tutti alla ricerca di amicizie, legami, aggregazione, comunità. In realtà, tuttavia (quasi a voler seguire la regola di Martin Heidegger che le cose si rivelano alla nostra coscienza solo attraverso la frustrazione che provocano - allorché vanno in malora, svaniscono, tradiscono le nostre aspettative o la propria natura), oggigiorno l'attenzione dell'uomo tende a incentrarsi sulle soddisfazioni che le relazioni si spera arrechino proprio perché per qualche verso non sono state ritenute pienamente e realmente soddisfacenti; e qualora invece soddisfino appieno, si scopre spesso che il prezzo di tale appagamento è eccessivo e inaccettabile.
Non sorprende che le «relazioni» siano uno dei principali motori dell' odierno «boom delle consulenze». La complessità è troppo densa, troppo ostica, troppo difficile da sbrogliare perché gli individui possano farcela da soli allora possono chiedere aiuto a degli esperti in materia pronti a offrire i loro servigi; a pagamento, s'intende. Ciò che essi sperano di sentirsi dire dagli esperti è come far quadrare il cerchio, come avere la botte piena e la moglie ubriaca, come godere delle gioie della relazione senza doverne ingoiare anche i bocconi amari; come costringere la relazione a dare senza prendere, a offrire senza chiedere, ad appagare senza opprimere.
Dal canto loro, gli esperti sono ben felici di prestare aiuto, sicuri del fatto che la domanda dei loro servigi non si esaurirà mai dal momento che non esiste mole di consigli, per quanto imponente, che possa trasformare un cerchio in un quadrato.
Forse l'idea stessa di «relazione» accresce la confusione. Nonostante gli sforzi profusi da tutte le anime infelici alla ricerca di una relazione e dai loro esperti, tale concetto resiste ai tentativi di epurarlo di tutte le sue connotazioni negative o preoccupanti; continua a evocare vaghe minacce e foschi presagi; emana in un solo alito il piacere dello stare insieme e l'orrore del cadere in trappola. Forse questo è il motivo per cui, anziché riferire la propria esperienza e le proprie prospettive in termini di «rapporti» e «relazioni», uomini e donne parlano sempre più spesso (aiutati e spalleggiati dagli esperti consulenti) di connessioni, di «connettersi» o di «essere connessi». Anziché parlare di partner, preferiscono parlare di «reti»(networks). Che meriti ha il linguaggio della «connettività»rispetto a quello delle «relazioni»?
A differenza di «relazioni», «parentele», «partnership» e di nozioni simili che puntano l'accento sul reciproco impegno ed escludono o passano sotto silenzio il loro opposto, il disimpegno e il distacco, il termine «rete» indica un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare e uscire; impossibile immaginare una rete che non consenta entrambe le attività. In una rete, connettersi e sconnettersi sono entrambe scelte legittime, godono del medesimo status e hanno pari rilevanza. Non ha senso chiedersi quale di queste due attività complementari costituisca l' «essenza» della rete. «Rete» suggerisce momenti in cui si è «in contatto» intervallati a periodi di libera navigazione. In una rete le connessioni avvengono su richiesta e possono essere interrotte a proprio piacimento. Una relazione «indesiderata ma indissolubile» è esattamente ciò che rende il termine «relazione» così infido. Una «connessione indesiderata», per contro, è un ossimoro: le connessioni possono essere e sono interrotte ben prima che inizino a diventare invise.
Le connessioni sono «relazioni virtuali». A differenza delle relazioni di un tempo (per non parlare delle relazioni «serie» e tanto meno degli impegni a lungo termine) sembrano fatte a misura di uno scenario di vita liquido-moderno in cui si presume e si spera che le «possibilità romantiche» (e non solo quelle) si susseguano a ritmo crescente e in quantità sempre copiosa, facendo a gara nel superarsi a vicenda e nellanciare promesse di essere «più soddisfacenti e appaganti». A differenza delle «relazioni vere», le «relazioni virtuali» sono facili da instaurare e altrettanto facili da troncare. Appaiono frizzanti, allegre e leggere rispetto all'inerzia e alla pesantezza di quelle «vere». Un ventottenne di Bath, intervistato in merito alla crescente popolarità dei siti per appuntamenti su Internet a discapito dei bar per single o delle rubriche per cuori solitari, così spiegò il pregio decisivo della relazione elettronica: «Puoi sempre premere il pulsante 'cancella'».
Quasi a ubbidire alla legge di Gresham, le relazioni virtuali (ridenominate «connessioni») dettano il modello che esclude tutti gli altri tipi di relazione. Ciò tuttavia non rende certo felici gli uomini e le donne che cedono alla pressione;di certo non più felici di quanto li rendesse l'esercizio di relazioni pre-virtuali. Si guadagna qualcosa e si perde qualcos' altro.
Come ha osservato Ralph Waldo Emerson, quando si pattina sul ghiaccio sottile, la salvezza sta nella velocità. Se la qualità difetta, si cerca redenzione nella quantità. Se «gli impegni sono privi di significato» mentre le relazioni non sono più meritevoli di fiducia ed è poco probabile che durino, si tende inevitabilmente a sostituire le partnership con le reti. Ma anche così acquietarsi e stabilizzarsi si rivela ancor più difficile (e quindi più scoraggiante) di prima, perché ora mancano le doti che servirebbero per far funzionare la cosa. Essere sempre in movimento, un tempo un privilegio e una conquista, diventa un obbligo. Andare sempre di corsa, un tempo un' eccitante avventura, si trasforma in una fatica massacrante. E cosa più importante, quella fastidiosa incertezza e quella confusione opprimente, che la velocità avrebbe dovuto spazzare via, si rifiutano di sparire. La facilità del disimpegno e l'interruzione su richiesta dei rapporti non riduce i rischi; semplicemente li distribuisce - insieme alle angosce che sempre li accompagnano - in modo diverso.
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